Il termine icona [dal russo ikona, e dal gr. biz. εἰκόνα, gr. class. εἰκών -όνος «immagine»] indica un’immagine sacra (rappresentante il Cristo, la Vergine, uno o più santi) dipinta su tavoletta di legno o lastra di metallo, spesso decorata d’oro, argento e pietre preziose, tipica dell’arte bizantina (Impero bizantino è il nome con cui gli studiosi moderni e contemporanei indicano l'Impero romano d'Oriente 395-1453) e, in seguito, quando nel 1453 l'Impero Romano d'Oriente crollò, di quella russa e balcanica.  Le icone, fondate su una precisa teologia, vengono realizzate a mano in tutte le loro fasi utilizzando ancora le antiche tecniche pittoriche che seguono un preciso canone iconografico.

Si parte da una tavola di legno di tiglio, su cui viene incollato, con colla di pelle di coniglio sciolta a bagnomaria, un telo di lino o di garza. Sopra al telo vengono stesi vari strati di gesso molto fine (gesso di Bologna o Bianco di Spagna) misto a colla di coniglio, che, una volta asciutti vengono levigati finemente. Preparato questo fondo, l’iconografo realizza il disegno del soggetto a matita o direttamente a pennello. Quindi si passa alla stesura dei colori, pigmenti minerali e terre, che vengono miscelati con rosso d’uovo e vino bianco: prima quelli più scuri che fanno da base a tutta l’immagine, poi quelli più chiari sovrapposti. Terminata la pittura si decora l’icona con la foglia d’oro nelle zone scelte. Si chiude il lavoro con la lucidatura con Olifa (vernice a base di olio di lino cotto e sali di cobalto) o, nel nostro caso, con gommalacca decerata.

L’icona non è un’immagine decorativa qualsiasi, ma una autentica raffigurazione visibile del mistero invisibile.

Nel dipingere l’icona l’iconografo presta la sua arte a Dio e si fa docile strumento dello Spirito, perché l’immagine dipinta non sia affermazione dell’uomo ma dono di Dio. Lo scopo principale dell’iconografia non era tanto quello di presentare un’opera “bella” ma quello di annunciare, manifestare, esprimere la realtà spirituale dei misteri della fede. Si tratta perciò di un’opera teologica che, in quanto tale, esprime l’invisibile: ciò che il vangelo ci dice con la parola l’icona lo annunzia con i colori e ce lo rende presente (Concilio Costantinopolitano IV (869-870), can. 3. L'icona è una finestra sul mondo santo, sacro, che si apre davanti alla persona che lo guarda. Tutto sull’icona è simbolo. La visione di un’immagine così significativa era più efficace della parola scritta che, soprattutto in epoca medioevale, sarebbe stata capita da pochi. Le immagini, insieme alla musica sacra e alla liturgia divennero il modo più efficace per portare al popolo i complessi contenuti della teologia cristiana. Secondo la Tradizione ortodossa, così come nell’Eucaristia Cristo si dona, nell’icona Cristo si mostra. L’icona è strumento di preghiera che educa a pregare. Quanto più si prega davanti all’icona, tanto più essa diventa taumaturgica e comunica luce interiore. L’iconografo non appone mai la sua firma sull’icona, perché l’icona non è la realizzazione di una persona, ma un’opera che scaturisce dalla tradizione ispirata della Chiesa, le mani dell’iconografo divengono strumento di Dio stesso che opera attraverso di esse. Colui che scrive icone non cerca la sua gloria, ma la gloria di Dio.

La luce, la prospettiva rovesciata e le proporzioni, sono tra le caratteristiche fondamentali di tutte le icone. La luce naturale non ha alcun valore, ma sia essa che tutti i colori terreni sono soltanto luce e colori riflessi. Nell’icona quindi non c’è mai né ombra né chiaroscuro; il fondo e tutte le linee e le sottolineature d’oro vogliono proprio significare una luce sovrannaturale.

La prospettiva rovesciata è un altro aspetto importante delle icone. Nella prospettiva il punto di fuga è un punto verso il quale le linee parallele sembrano convergere. E’un artificio che ci dà l’impressione della profondità dell’immagine.

Nelle icone la prospettiva è inversa: il punto di fuga non è da cercare entro la rappresentazione in un lontano orizzonte; esso si trova dinanzi all’icona, il punto di fuga è colui che sta dinanzi all’icona.

Tutte le linee prospettiche si dirigono in senso inverso rispetto a chi guarda, cioè non verso l’interno del quadro, per dare profondità, ma verso l’esterno, dando allo spettatore l’impressione che i personaggi gli vadano incontro; la scena o figura rappresentata manda raggi verso lo spettatore che si apre a riceverli. Dio si protende verso chi guarda. Non è una mancanza di abilità nella raffigurazione dello spazio. Con la sua prospettiva rovesciata, l’icona ci presenta lo sguardo di Dio che si posa sul mondo e non viceversa; quest’arte rappresenta la realtà nel cono di quella luce di verità e d’amore, che è lo sguardo di Dio. L'icona si rivolge direttamente al cuore, favorendo l'incontro tra l'uomo e la divinità.

La prospettiva d'importanza: La prospettiva d'importanza è un processo di rappresentazione che permette di mettere in evidenza un personaggio rispetto ad altri presenti sulla stessa icona.

Icona di S. Giovanni Climaco (al centro) insieme a S.Giorgio

(a sinistra) ed a S. Biagio. Russia, secolo XIII.

Le proporzioni delle figure, la loro grandezza non sono reali ma relative al valore delle persone o delle cose.

La tridimensionalità non viene rappresentata, in quanto la profondità è data solo dall’intensità degli sguardi.

Si guarda all’icona ammirandola, la si medita e si prega attraverso di essa. Nel mondo slavo e bizantino la contemplazione delle icone ha ancora oggi un valore salvifico pari a quello della lettura delle Sacre Scritture.

Le figure non producono ombra, perché quanto è rappresentato appartiene ad una realtà trasfigurata, che non riceve luce dall’esterno poiché contiene in sé stessa la sorgente della luce.

San Lorenzo

nacque ad Osca in Spagna nel 226 da nobilissimi e santi genitori. Ancora bambino fu a tutti modello di docilità e santa innocenza. Ricevuta la prima istruzione in patria, passò a Saragozza dove era ritenuto il migliore di tutti gli allievi. Il futuro Papa Sisto II, avendo udito parlare delle virtù di Lorenzo, lo condusse dalla Spagna a Roma.

All'età di 27 anni, per il suo progresso nella scienza e nella virtù, fu dal Pontefice Fabiano ordinato diacono e nel 258, essendo stato eletto alla Cattedra di Pietro Sisto II, Lorenzo divenne arcidiacono.

Durante la persecuzione di Valeriano il Papa S. Sisto, che era stato incarcerato, disse a San Lorenzo di prendere le ricchezze ed i tesori della Chiesa e distribuirli ai poveri.

Lorenzo, quando Valeriano gli intimò di recargli i beni della Chiesa, promise che entro tre giorni glieli avrebbe mostrati. Raccolse un gran numero di poveri e glieli condusse dicendo: «Ecco qui i beni della Chiesa!».

Infuriato, Valeriano ordinò che Lorenzo fosse posto su una graticola di ferro rovente ed arrostito lentamente. Quando fu bruciato da una parte, al carnefice che ordinava di rivoltarlo, il Martire disse: «Ora potete mangiare, perché la mia carne è già cotta abbastanza». Era il 10 agosto 258.

Le stelle cadenti della notte del 10 agosto, tradizionalmente ricordano i carboni ardenti della graticola. Secondo una diversa tradizione sarebbero le lacrime versate dal Santo durante il supplizio.

L'icona di San Lorenzo

L’icona di San Lorenzo, commissionata in occasione del 40° anniversario del Diaconato Permanente Romano, è stata scritta facendo riferimento all’iconografia classica nella quale San Lorenzo è raffigurato come un giovane diacono nello svolgimento del suo servizio.

La figura a mezzobusto, è solida, forte, protesa verso lo spettatore.

Il volto è serio, compreso nel suo ruolo ma al contempo fiducioso e tenero.

Gli occhi vividi e attenti seguono chi si accosta a questa immagine sacra, in un continuo e profondo scambio di sguardi. Siamo noi che guardiamo San Lorenzo o è lui che guarda noi?

Sulla testa è visibile la tonsura, segno di Consacrazione a Dio e di appartenenza al clero.

Il collo forte e possente è sede della sapienza, dono dello Spirito Santo.

Lorenzo è rappresentato già risorto nella dimensione della salvezza eterna, le lumeggiature bianche presenti sul viso e sulla mano esaltano l’incontro tra l’uomo e la luce divina, luce divina che si irradia da Dio verso Lorenzo e da Lorenzo verso di noi.

Indossa una dalmatica bianca decorata con motivi floreali. La dalmatica era una veste utilizzata in epoca romana e poi rimasta in uso come paramento liturgico, consistente in una lunga tunica, provvista di ampie maniche, che arriva all'altezza delle ginocchia. È l'abito proprio dei diaconi. Al tempo dei romani era ricamata in oro, tessuta anche in filigrana d'oro, con smalto e perle, e ancora oggi viene prodotta con questi materiali. Nella storia della Chiesa è uno dei più antichi paramenti sacri. La dalmatica con collo e maniche decorate (sticario) è presente nell’iconografia ortodossa nelle icone dei santi diaconi, così come la stola, decorata con la croce, poggiata sulla spalla.

Sul braccio sinistro un mantello, elemento tipico dell’abbigliamento romano, copre la mano intenta a sorreggere l’Evangeliario.

L’evangelario

SanLorenzo tiene in mano l’evangeliario, il libro liturgico cristiano in cui sono raccolti i quattro Vangeli. La mano velata, in segno di adorazione e rispetto, stringe al petto, accanto al cuore la Parola di Dio. È un oggetto prezioso e riccamente ornato, come preziosa e ricca è la Parola di Dio che il diacono proclama dall'ambone nella liturgia.

L’incensiere

Nella mano destra Lorenzo regge l’incensiere (dicitura “bizantina” del nostro turibolo). Il piccolo braciere sospeso da catenelle e con un coperchio scorrevole; è usato dal diacono e dal sacerdote per incensare. Le incensazioni possono avere un duplice significato: purificatorio (incensazione della chiesa e del popolo) o di venerazione (incensazione dell'altare, dei Sacri Doni, dell’evangeliario, delle icone). San Lorenzo tiene l’incensiere, che, in movimento, esce fuori dalla cornice dell’icona, il santo sta così incensando ogni persona che si accosta all’icona superando il limite fisico della cornice.

La cassetta del tesoro

In basso a destra è presente la cassetta del tesoro che Lorenzo custodiva per la chiesa. Il tesoro è il motivo della condanna a morte del Santo. “Questi sono i tesori della Chiesa”. La carità di Lorenzo verso i poveri di Roma a cui dona i beni della chiesa a discapito della sua stessa vita è la carità a cui sono chiamati tutti i diaconi.

La cassetta del tesoro e l’Evangelario sono gli unici elementi del dipinto decorati con foglia d’oro zecchino. Differentemente dal resto dell’icona che presenta uno stile sobrio, questi due oggetti spiccano per la loro ricchezza a significare che la parola di Dio e i poveri sono la grande ricchezza della chiesa.

La graticola e il fuoco

Dietro il santo sono visibili la graticola e le fiamme, gli strumenti del martirio.

Lo sfondo

Differentemente dalle icone classiche, lo sfondo dell’icona e l’aureola (nimbo) del santo sono dipinti e non coperti di foglia d’oro. Le motivazioni di questa scelta sono essenzialmente due.

La prima è la volontà di tutelare l’icona che, passando di mano in mano per far visita ai diaconi, potrebbe subire dei danni importanti. L’oro, infatti, non può essere toccato con le mani nude. Il calore e l’umidità delle mani ossidano e opacizzano la zona toccata lasciando segni irreversibili che non possono essere restaurati. Inoltre, la foglia d’oro è tanto sottile che qualsiasi sfregamento o urto, (l’icona dovrà essere inserita ed estratta continuamente dalla sua custodia), potrà danneggiare la doratura, lasciando segni difficili da recuperare. Il restauro dell’oro è molto complesso perché ogni foglia d’oro ha una sua tonalità ed è pressoché impossibile riuscire a trovare lo stesso oro a distanza di tempo dalla realizzazione. Il restauro della pittura è invece immediato e, se fatto scrupolosamente, non lascia intravedere alcun segno di intervento.

Il volto spicca in maniera evidente sul nimbo bianco, catalizzando l’attenzione immediatamente sull’espressione del viso.

I colori

Nelle icone si lavora utilizzando una gamma di colori molto limitata. I colori vengono continuamente mescolati tra loro per creare le differenti tonalità, ottenendo così un bilanciamento cromatico estremamente armonico.

Il verde dello sfondo è il colore con il quale sono stati realizzati l’incarnato, le ombreggiature del volto e le sfumature della veste. Il verde ricorda anche il tempo ordinario, un tempo liturgico particolare: apparentemente piatto, ordinario appunto, lungo, quasi un intervallo tra i restanti tempi forti dell’anno: Avvento-Natale, Quaresima-Pasqua, come i giorni feriali tra due domeniche. Il verde è il colore della speranza e della vita. Dopo il Natale, in cui Gesù nascendo porta la vita sulla terra, sconfiggendo le tenebre del peccato e della morte e dopo la Pasqua, in cui Gesù ci dona la salvezza, possiamo camminare nella vita dei salvati, dei risorti e testimoniare la nostra fede. E’ il tempo quotidiano, come quotidiana, “ordinaria” e incarnata è la vocazione del diacono.

L’iscrizione

L’iscrizione è l’ultimo elemento che l’iconografo inserisce a chiusura del lavoro sulla tavola e identifica chi è rappresentato. Tutti devono riconoscere chi hanno davanti e a chi devono affidare le proprie intenzioni di preghiera, da questo la scelta di mettere il nome nella lingua italiana e non in latino o greco. Anche la scelta di inserire l’abbreviazione Diac. (diacono) e non Mart. (martire) è stata dettata dal mettere in evidenza innanzitutto la vocazione di San Lorenzo che i diaconi romani hanno in comune con lui.

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